Il grande jihad

“La guerra più grande è quella di lottare contro sé stessi”, dice Moussa spiegando cosa significhi per lui la religione e il sufismo. La Dahira Murid si trova a ridosso dello svincolo autostradale di Caserta. Una zona depressa fatta di capannoni e campi. Terra e cemento. Stavo intervistando pochi giorni fa gli aderenti a una confraternita sufi tra le più importanti del Senegal, la Muridiyya, e mi sono reso conto che le loro domande sul senso della vita riguardavano anche me. E’ stata una esperienza formativa, di apprendimento, dove si sono capovolti i ruoli. Io giornalista, non più un mezzo, che ascolto parlare del misticismo e le loro parole mi fanno riflettere, non solo su un livello elementare, professionale, ma esistenziale.

Chi sono realmente? Sono quello che appare o quello che non appare? “Conoscere te stesso non è chiederti chi è tuo padre o tua madre, è capire chi sei”, ripete Moussa. Altri dicono “non guardare cosa hanno sbagliato gli altri, chiediti cosa hai sbagliato tu”. Quando si crea un conflitto con qualcuno è difficile chiederselo.

Ognuno pensa di avere ragione e ritiene l’altra persona responsabile. Non ci si chiede mai “cosa ho sbagliato” quanto perché l’altra persona si sia comportata male con noi. Quando ho cercato di chiedermelo dove ho sbagliato, l’ho capito. Ma è sempre tardi. La rabbia acceca, la frustrazione acceca, la gelosia acceca, l’amore e l’odio confondono la vista.

Io ho perdonato spesso, anche quando non dovevo, anche se non riesco a dimenticare l’umiliazione, le bugie, le verità non dette. Disprezzo le persone che mentono o mistificano. Che creano nebbie sul loro essere reale.

So cosa ho fatto o ho detto nella mia vita. Per cosa ho meritato uno schiaffo e quando invece un abbraccio. Non ho mai ingannato le persone per trarne un beneficio. Ho rubato a volte, mentito per proteggere, anche, ma l’inganno è materia differente.

Non tutte le persone sanno guardare dentro sé stesse per chiedersi in cosa hanno sbagliato. Ma se ogni tentativo cade nel vuoto, forse serve desistere, dimenticare. Dimenticare significa fare scendere nell’oblio. Seppellire. Cancellare. Far sprofondare.

Le Erinni erano, nella mitologia greca, le tre dee della vendetta. Ogni volta che qualcuno veniva sconfitto, ucciso sulla terra e lanciava una maledizione al suo assassino, le Erinni lo vendicavano. Erano figlie di Notte e abitavano nel Tartaro,  il luogo dove Zeus relegò i Titani vinti.

La via del sufi presuppone un cuore puro, pulito. Il mio è nero.

Il mio cuore porta risentimento. Non solo quello, ma non posso negare a me stesso quello che sento. E’ pieno di disillusione. Dolore no. Quello è sparito con lui. A volte penso che non batta neanche, il cuore. A volte vorrei chiamarle, le Erinni.

Credo di aver visto un frammento di ciò che non appare quando l’imam mi ha parlato in wolof, mentre sorseggiavo il caffè Touba. Lo guardavo e vedevo altro. La leggenda dice che il caffè è stato portato in Senegal dallo Sheik Amadou Bamba al ritorno del suo esilio in Gabon. È un caffè molto particolare, fortemente speziato, utilizzato anche durante le preghiere e le meditazioni.

In questa fase i sogni sono tornati in maniera prepotente, dopo decenni di oblio. La mia lotta interiore si trasferisce nel mondo di Morfeo. Sogni di sortilegi, di impossibilità di risolvere sempre qualcosa, di appuntamenti mancati, di persone sparite.

Lottare contro sé stessi. La grande guerra.

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