Il velo di Maya

È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente

Il velo di Maya. , in sanscrito, significa misurare, foggiare, ordinare, costruire.

Farsi un’aspettativa porta all’illusione e tutto viene pervaso da una nebbia.  Squarciato quel velo, l’impatto con la realtà diventa devastante. Quando succede è come svegliarsi da un lungo sonno. Credo che se non ci fosse stata la palestra, unita alla scrittura e alla psicanalisi, non sarei mai uscito da un buco nero dove forse, mi ci sono infilato io, nel tentativo di rincorrere qualcuno o qualcosa, nel negare una realtà. Nell’accettarla e riconoscerla, poi.

Ma io fondamentalmente sono un nichilista. Non credo a nulla.

Mi ha affascinato un Tedx che da qualche settimana racconto a chiunque: in sostanza in questa presentazione un neuroscienziato, Mariano Sigman, si chiede come si può analizzare da un punto di vista scientifico il momento nel quale l’essere umano incomincia a parlare dell’introspezione. il neuroscienziato in una battuta dice che in pratica i greci oggi, o meglio, il pensiero degli antichi greci oggi, sarebbe paragonabile a quello degli schizofrenici. Sentire voci (degli dei) che ti dicono di fare cose, “What today we would call hallucinations. And only then, as time went on, they began to recognize that they were the creators, the owners of these inner voices. And with this, they gained introspection: the ability to think about their own thoughts”.  E il neuroscienziato riprende la tesi di uno psicologo americano, Julian Jaynes.

Il punto di partenza è qui la divisione del cervello in due emisferi. Sappiamo che uno solo di tali emisferi (generalmente il sinistro) presiede al linguaggio e domina la vita cosciente. Qual è allora la funzione dell’altro emisfero, legato da molteplici nessi all’emozione? Chi abita, chi ha abitato quell’«emisfero muto», del quale oggi riconosciamo di sapere così poco? La tesi di Jaynes è che l’emisfero destro sia stato abitato dalle voci degli dèi e che la struttura della «mente bicamerale» spieghi la nostra irriducibile divisione in due entità: divisione che un tempo fu quella fra «l’individuo e il suo dio». La coscienza, quale oggi la intendiamo, sarebbe dunque una forma recente, faticosamente conquistata, che si distacca dal fondo arcaico della ‘mente bicamerale’.

Che poi però ritorna.

Il discorso va avanti, perché qui lo scopo era creare un algoritmo capace di ‘leggere’ l’esatto momento nella storia dell’uomo nella quale nei testi antichi appariva il concetto di introspezione e poi utilizzare l’algoritmo per elaborare strumenti predittivi sul potenziale sviluppo della schizofrenia nelle persone. L’applicazione di una scienza dura come la matematica su una scienza molle. Ho un po’ sintetizzato e riassunto, ovviamente, ma se volete sentirlo, è qui.

Ma a me interessava la prima parte, più che altro. C’era un tempo nel quale le persone credevano veramente di sentire gli dei

Oggi preferiamo affidare la voce interiore a noi stessi. A volte qualcuno prega, chi crede. Però fondamentalmente affrontiamo discorsi con il nostro io. La razionalità si scontra con la passione, l’amore, la rabbia, l’odio, che razionali non sono. Spesso mettiamo a tacere il nostro io. Ci sono persone che credo non sappiano o non vogliano ascoltare la propria voce interiore. Che in fondo è un giudice, a volte. Altre un partigiano che ci induce a confermare le nostre azioni, anche se illecite e sbagliate.

Mentre chiudevo un pezzo per un podcast, scorrendo nella lista degli audio in libreria, ho trovato una mia versione di ‘Un uccello azzurro’ di Bukowsky’ che avevo registrato a marzo scorso. Una poesia che mi è rimasta impressa. Una mia amica mi ha fatto notare che tutti ricordano più o meno il racconto del vaso di Pandora, ma molti dimenticano che nel fondo del vaso c’è anche la speranza. Nell’arte, la Dea Spes veniva rappresentata mentre reggeva la cornucopia e dei fiori. Appariva a volte come una ragazza, con un fiore o un uccello nella mano, mentre con l’altra mano sorreggeva nell’incedere un lembo della lunga veste, perché non le fosse d’intralcio.

La mia dea è un uccello azzurro, come quello di Bukowsky nella sua poesia.

Il prossimo tatuaggio.

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