La cosa più interessante di un lavoro video (per me) è la fase di lavorazione del suono. La sua figura professionale è quella del sound designer. Ma noi qui ne parliamo in maniera non tecnica, da principianti del suono. Un racconto più che una scheda. Immaginate di trovarvi di fronte a una visione del mondo fatta di linee e onde. Un po’ come nel film Tron.
O almeno la mia immaginazione mi porta lì :-).
Viaggiare con un mezzo su un terreno, in continuo movimento, e dove all’improvviso può alzarsi un masso o una parete e poi crollare in un abisso. Un colpo di clacson, la folla, una esplosione, le onde del mare, un’ambulanza, un ristorante affollato. Il nostro mondo piatto diventa così una continua ebollizione di suoni.
Raccogliere suoni come oggetti da terra, o frutti da un albero e poi incastrarli in maniera corretta. Che suoni mi mancano per raccontare questa storia? Un mercato, un bar, un luogo di culto. un teatro? Da dove deve iniziare e dove deve finire? E prima, che colonna sonora devo scegliere? Minimalista la sua presenza o deve essere più importante? Quasi impalpabile, eterea o deve portarmi emozionalmente da qualche parte?
I suoni in un prodotto video e tanto più audio sono i mezzi che ci fanno immaginare luoghi e situazioni, ci regalano emozioni e sensazioni.
Lavorare sui suoni, detto da un apprendista stregone, è la cosa più bella che si possa fare. I suoni regalano spessore, contestualizzano, integrano, anticipano o posticipano. Regalano suspense o ti tranquillizano. Coi suoni puoi fare tutto. In radio in un reportage significa molto, se non tutto. Se non potete vedere, cosa vi può trasmettere un’emozione o immaginare di vedere se non il suono? Una strada trafficata è differente da un vicolo periferico, una tram da un autobus. Una piazza da un cortile da uno spazio aperto in montagna. Cambia tutto. Ogni cosa che utilizziamo ha un senso per ricostruire tutto quello che chi ascolta la radio, per esempio, non può vedere. E allora servono le parole, certo, ma anche il suono. Così diventa reale, così diventa da piatto, bidimensionale, a pieno, tridimensionale. Qui per esempio un bel documentario prodotto dalla Bbc, The Nazi next door. Il racconto inizia con dei rumori di oggetti e si sente scricchiolare un pavimento. Legno. Una soffitta? Qualcuno sta cercando qualcosa in un luogo con un vecchio pavimento in legno. Un luogo polveroso dove si accumulano oggetti… forse nascosti…e già con dei semplici rumori, la curiosità si accende nel nostro cervello.
Prendete un microfono e girate per il vostro quartiere, la vostra città, raccogliendo quello che avviene intorno a voi. Una tangenziale trafficata a distanza, un autobus in movimento, un gruppo di studenti fuori da una scuola. Il rumore della macchina del caffè in un bar. Il rintocco di una campana. Gli uccelli. Un mercato. Due bicchieri che si toccano per un brindisi di laurea. Serve solo dare spazio alla fantasia. Provate a contare quei suoni. Quanti rumori/suoni ha una città? Su Youtube si trovano diversi suoni ambiente provenienti da diversi luoghi del mondo. Ascoltarli può dare degli input. New York sotto la pioggia o camminare nel centro di Los Angeles o magari esplorare Beirut ci danno una idea di dove ci troviamo. Sentire il traffico da una finestra di Manhattan è diverso dal sentirlo in mezzo alla strada.
Quindi abbiamo la voce narrante, le interviste, il voice over e poi abbiamo la musica di background e infine il sound design. E’ un lavoro complesso e a livello professionale per un film o un documentario intendo, e va fatto da professionisti. Ma anche chi ci lavora per realizzare prodotti audio o video più brevi per internet o per radio e televisione, deve conoscerne almeno le basi e saperci mettere le mani.
Di solito non metto per ultima la colonna sonora, a riempire buchi e pause, ma la scelgo fin dall’inizio, quando sono sul posto, così che possa darmi una mano nello stendere la storia, svilupparla su un lungo tappeto sonoro. Intercetto brani. Un pezzo sentito alla radio, una musica da una finestra. incomincio a ragionarci mentre intervisto o mi muovo per la città o anche in un bar. Un pezzo per il mio reportage di approfondimento che sto iniziando a montare l’ho sentito mentre mi spostavo in macchina una mattina da un quartiere all’altro di Beirut. Shazam ci aiuta in questo, a identificare i brani, per esempio, o anche via Google. Per questo dobbiamo sempre rimanere attenti a quello che avviene intorno a noi. Il quartiere dove mi trovato era pieno di operai al lavoro che ristrutturavano case. Ho impiegato un paio di ore la mattina per camminare fermandomi a registrare le loro voci, i rumori delle frese che tagliavano il metallo, i colpi di mazza sui muri, i camion. Questo, se devo raccontare che i lavori in città, a un anno dall’esplosione del porto ancor continuano, ora lo posso fare. A volte i veri e propri rumori, che ci possono creare dei problemi se dobbiamo registrare una voce per una intervista, in questo caso ci aiutano.
Musica e ambiente. Lo stesso vale per un prodotto video. Molti appiccicano una colonna sonora a caso. Invece il suono è importante tanto quanto il video. 50 e 50. In un film una colonna sonora sbagliata rovina tutto. E così anche in un lavoro di reportage si dovrebbe cerca di non utilizzare suoni stereotipati. Qui per esempio per questo lavoro per Internazionale realizzato con Ruben Lagattolla, Ritorno tra i figli scappati dal Burundi, la musica è stata composta appositamente da Camilla Coccia. E la differenza si sente. Provate a immaginare i dialoghi e le immagini senza quella musica, o con un brano pescato a caso dalla rete. Si perderebbe un sacco di pathos.
Cercate di essere più creativi. Ma per fare questo serve un minimo di cultura musicale. Dove andare a pescare i brani, come disporli. Ci sono siti dove poter utilizzare cinematic sounds o brani come questo. Sceglieteli con cura (e controllate le licenze). Allenate il vostro orecchio. Anche qui sempre vale il ‘cosa voglio raccontare con questa musica?’ E cosa voglio descrivere con questo suono?