Parlando di Siria

Amami
senza preoccupazioni
e perditi nelle linee della mia mano.
Amami per una settimana, per qualche giorno
o solo per qualche ora…
non mi interessa l’eternità.
Io sono come ottobre…
il mese del vento, della pioggia, del freddo.
Io sono ottobre…allora, abbattiti
come fulmine sul mio corpo.
Amami con tutta la brutalità dei tartari,
con il bruciante calore della giungla
e la ferocia della pioggia.
Non lasciare nulla, polverizza tutto,
non farti mai domare!
Tutte le leggi della civiltà sono cadute sulle tue labbra…
Amami come un terremoto,
come una morte inattesa,
e lascia che i tuoi seni intrisi di fuochi e fulmini
mi aggrediscano come un lupo feroce e affamato…
lascia che mi azzannino e mi percuotano
come la pioggia sferza la riva delle isole.
Sono un uomo senza destino,
sii tu, allora, il mio destino,
e mantienimi sul tuo seno come un’incisione sulla pietra…
Amami…e non chiedermi come…
Non balbettare per la timidezza…e non aver paura.
Quando l’amore ci percuoterà,
non ci sarà né “come” e né “perché”.
Amami senza recriminare,
la guaina protesta se riceve la spada?
Sii il mio amore e il mio porto, la mia patria e il mio esilio,
sii siccità e diluvio,
sii la dolcezza e la durezza.
Amami in mille e mille modi,
ma non ripeterti come l’estate…io detesto l’estate.
Amami…e dimmelo!
Detesto essere amato senza voce,
detesto seppellire l’amore in una tomba di silenzio.
Amami…
lontano dalla terra della repressione,
lontano dalla nostra città sazia di morte,
lontano dalla sua faziosità
e dalla sua rigidità.
Amami…lontano dalla nostra città,
perché l’amore non la visita da quando esiste,
e Dio lì non è più tornato.
Amami…
non temere l’acqua ai tuoi piedi, mia signora,
non sarai battezzata donna
se nell’acqua il tuo corpo non si immerge
e se non bagnano i tuoi capelli.
Il tuo seno è  un’anatra bianca…non può vivere senz’acqua.
Amami con la mia purezza e i miei difetti,
con la mia bonaccia e la mia tempesta.
Mia corolla di fiori, mia foresta d’henné, proteggimi.
Spogliati…
e lascia cadere la pioggia sulla mia sete.
Consumati come cera nella mia bocca
e impastati con ogni mia parte…
Spogliati…
e separa le mie labbra…come fece Mosè nel Sinai.

Questa bellissima poesia è di Nizar Qabbani, diplomatico e poeta siriano, morto da esule in Inghilterra, lontano dal suo amato Paese. È stata letta, non a caso, a Roma durante la presentazione del libro di poesie di Asmae Dachan, ‘Non c’è il mare ad Aleppo‘ (Erudito editore, 2021), una raccolta di poesie delicate come Asmae, una giornalista dotata di una sensibilità particolare.

Questa è una sua poesia

Non c’è il mare ad Aleppo

Non si scrivono poesie

dove l’aria odora di morte

e l’erba si copre

del sangue degli innocenti

e i giardini d’infanzia

diventano cimiteri

e le madri restano

orfane dei loro figli.

Non c’è il mare ad Aleppo

l’acqua del fiume

continua a correre

bagnata di lacrime e silenzi

e continua a correre

indomito il tempo

I muri della città

custodi della memoria

si piegano feriti dalla violenza

e le parole vagano

scalze su fogli di polvere

che mai ingialliranno.

Di solito non leggo poesie. Le ultime che ho letto sono quelle Bukowsky, poesie d’amore, solitudine e di umanità profonda. Ne ho scritte ogni tanto, nel corso dei decenni, ma quasi nessuna poi la conservo. Come i racconti o un romanzo che non finirò mai. Come tutto quello che mi riguarda, preferisco scriverne e poi cancellare, spazzare via. Come il passato. Non tenere memoria, far cadere nell’oblio. A volte salvo qualcosa da email o brutte copie che ho dimenticato di eliminare e che ritrovo causalmente. Superstiti di graffi su carta.

Io e Asmae ci conosciamo da diversi anni, complice la Siria. Una storia di sofferenza, di odio e amore, che ha toccato molti italiani di origine siriana, come Asmae, che è stata ad Aleppo durante guerra e ha visto orrori e umanità mescolate con la polvere e il sangue del suo popolo.

Asmae, come me, ha perso una sorella, Noura, a causa di un attacco cardiaco, all’età di 39 anni. Mia sorella è morta nel 2018, sempre per un attacco cardiaco, a 42 anni. Due vite differenti e due modi di vivere differenti, ma la morte, alla fine, è uguale per tutti. Sono età per le quali sembra impossibile che si possa morire, ancora, o perlomeno diventa difficile l’accettarlo.

Ti chiede ancora amore, tu che l’amore lo spargevi come semi sulla terra arida e facevi nascere fiori e facevi nascere speranza”, scrive Asmae in un libro che le ha dedicato, ‘Noura’.

Io di mia sorella non riesco ancora a parlarne in maniera aperta. Un fatto distante, lontano, che non ho mai elaborato, come tante altre cose. Lo faccio da poco in analisi, cercando di ricostruire un rapporto perso molti anni prima.

Asmae è una giornalista pacata, precisa e mai sopra le righe. Una cosa che mi è sempre piaciuta di lei è il suo avere un tocco leggero nel raccontare i fatti, partecipato in maniera reale, non urlato, non gonfiato artificialmente per coinvolgere il lettore con tecniche di storytelling, mai invasivo e mai egocentrico. Mai ingombrante, come molti altri giornalisti, che usano la scrittura come mezzo per mostrarsi e non per mostrare.

Asmae è stata vittima di tremendi attacchi di troll e hater per il suo impegno civile, per il suo essere musulmana e per il suo sostegno al popolo siriano. Subire attacchi di questo tipo è devastante. Colpiscono in fondo all’anima e lasciano segni indelebili. Ieri ne parlavo con lei, dopo la presentazione del suo libro e sì, noi lo sappiamo cosa vuol dire diventare gli obbiettivi di una campagna di odio. Soprattuto sei sei un freelance e devi far conto solo sulle tue forze.

Psicologicamente ti devasta.

Per me, subire attacchi diffamatori, oltre che da hater e troll di professione, anche da alcuni colleghi, elementi appartenenti alla stessa organizzazione sindacale che dovrebbe difendere il mio lavoro e la mia professione, quando mi sono occupato di un caso legato all’Ucraina, è stato ancora più devastante. La stessa organizzazione che mi ha invitato, quando seguivo la Siria, a parlare nella sua sede nazionale in difesa dei colleghi giornalisti sotto le bombe del regime ad Aleppo.

In Siria avevo un fixer, un mediattivista, Abu al Nour, ma il suo vero nome era Jomaa al-Ahmadun. Un ragazzo che con la sua telecamerina andava in giro come una trottola a filmare bombardamenti e massacri. Ero stato ospite a casa sua, avevamo diviso il cibo e la paura. E’ morto filmando i bombardamenti sul suo villaggio, colpito da una bomba russa. E io, come tanti, da casa, ho visto la sua morte in diretta tramite la sua ultima testimonianza in video.

Non ho un calamaio/dove intingere la mia penna/faccio delle mie dita la mia penna/del mio sangue inchiostro e del mio corpo carta, scrive Asmae.

I suoi pensieri sono farfalle bagnate nel calamaio. Un po’ come il tocco leggero dei pennelli sulla carta del calligrafo Amjed Rifaie, che ieri trasformava semplici parole in qualcosa di più profondo che va a perdersi molto in là oltre l’arte, verso il sacro e il mistico.

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