Ho iniziato a scrivere da un aereo in volo, diretto in Ucraina. Un anno fa ero avvolto nel gelo di una vallata piemontese. Il risveglio quella mattina con un senso di vuoto, di perdita. La necessità poi di reagire in un paese serrato dal lockdown. I mie due saggi amici, Greta ed Elio, che ascoltavo lontano. I miei pensieri smarriti nell’oceano. Per chi ha vent’anni è solo un anno, per me è valso cinque volte di più. Guardo fuori dall’oblò ed è tutto mezzo innevato . Il cielo, grigio, è quello di Kyiv. La prima volta che sono stato in Ucraina è stato nel 2015. Avevo lavorato sui foreign fighter andati a combattere con le milizie separatiste e sulla persecuzione delle chiese protestanti. Mi sono preso i colpi di mortaio della parte avversa. Poi ci sono tornato nel 2017, per fare due reportage per la televisione, sulla storia del paese, sulla rivoluzione di Maidan e sulla guerra in Donbas. Nel 2019 il caso giudiziario contro Markiv, e quindi un altro viaggio nel 2020. E adesso, nuovamente in Ucraina. Tante storie a Kyiv.
Mi guardo allo specchio. Sono invecchiato. Sul mio viso sembra essersi concentrata la fatica di questo ultimo anno. Il corpo no, è il contrario. Tutta la nostra vita si mostra sul volto ed è vano nasconderla.
Eccomi di nuovo in Donbas, questa volta sulla frontline con l’esercito ucraino. Abbiamo dormito in un villaggio trasformato in un centro militare, dove una unità speciale di cecchini vive insieme al suo comandante in un qualcosa di simile a una comune, una famiglia allargata dove lui stesso prepara il cibo, come un padre attento, per i suoi soldati. Killer silenziosi, esperti di mimetizzazione, capaci di uccidere sulle lunghe distanze. Ragazzi. Donne che giocano con un gatto e che a 26 anni hanno conosciuto tutto della vita. Forse il peggio. Le ferite della mente, invisibili. Siamo finiti su una barca piena di paracadutisti armati, attraversando un fiume nel più assoluto silenzio, circondati dal nemico. E poi in chilometri di tunnel e gallerie, in mezzo al fango, all’acqua, sotto la neve. In questo giro è venuto Michele, che ha fatto il War Reporting Training Camp nel 2017 e poi, partito lui, Andrea (Wrtc 2015). Tornerò di nuovo nella zona di contatto con lui, ma saranno altri fronti e altre storie parallele. Mi sono nuovamente trovato in queste situazioni dopo molto tempo, non mi trovavo all’interno di un conflitto dal 2018. E mi sono reso conto di essere stato tremendamente calmo, teso a volte ovviamente, ma sereno. Il destino è scritto, qualunque cosa tu faccia per cambiarlo. Si deve sempre capire e accettare che noi non siamo immortali. Come quando siamo passati obbligatoriamente su una strada perché quella più in basso, coperta, era impossibile da percorrere. Il mezzo si è impantanato più volte. Siamo tornati indietro prendendo la strada sterrata.. Solo dopo ci han detto che a volte i separatisti utilizzano missili a guida ottica per colpire i mezzi. Finirà anche questo giro, con una ruga in più sul volto.
Ricordi accumulati, la fragilità di pensarci, il tempo trascorso, il mio ritorno alla vita. Forse sono solo un animale capace di stare sempre in giro, in situazioni stressanti, di pericolo reale o solamente percepito. Ma è un momento così vano, fugace. A breve sparirà nuovamente tutto, come tutte le altre volte. Già visto.
Prima non pensavo, ora ne scrivo ed elaboro, ragiono, creo.
Poi la terra si è fermata
Immobili i pianeti
Le stelle nel ghiaccio perpetuo
I cani rigidi, il vento
I lampi, la paura
Il cielo nero
Io
Mi sono svegliato
Il cuore, i muscoli
La linfa. Il sangue
di nuovo fluido
Senza dimenticare